Vagare in auto nella piemmediecica aria serotina mi irrita profondamente. Non capisco perché ai milanesi non sia ancora entrata in testa l’annosa funzione della segnaletica orizzontale. Figuriamoci di quella verticale. Per l’invenzione dei parcheggi, invece, l’operoso popolo meneghino non ha eguali, riuscendo a sparpagliare quattroruote fra i viali della circonvallazione come neanche una mano divina riuscirebbe. Emergiamo dal dedalo di lamiere dalle parti di Maciachini direzione SPIB, una pizzeria sarda (sic!) che ibrida pizza e pane carasau, tra scarti di suburra e cinesi che si allargano. Leggera e sottilissima in sé, se non fosse per la triplice correzione di gorgonzola, cipolla e luganega. Ma no worries, ci pensa il mirto a liquidare il tutto.
L’Alcatraz è a 2 passi goffi e appesantiti. E’ lì la misteriosa location del secret show di myspace che di “secret” non ha nulla, tranne il constatare che lo “spazio” di antichi splendori esiste ancora.
Si entra per vie preferenziali (thanx to EMI music) e at a glance noto come l’impatto sul costume italico della giovane promessa Arisa abbia polverizzato qualsiasi geremiade degli stilisti. A proposito, siamo nella fashion week, ma pare che nessuno se ne sia accorto e di modelle dalle scapole alate nemmeno l’esile ombra. Orde di pinguini dai grandi occhiali si guardano in giro deluse nel constatare che la loro intuizione non è stata così originale. E pensare che solo un’ora prima erano lì davanti a quello specchio ikea blu e turchese a riflettersi innovativi pensieri al ritmo di “Sincerità”. Realizzo che l’oftalmia sia ormai un problema sociale. Non pensavo che la città di Milano potesse ospitare tutto questo numero di occhialuti. Nel frattempo attacca a suonare la band denominata il Genio in una mezz’ora di loop “pitù-pità” che immobilizza le braccia nel tocco-scatto dei mille aifon. Io e Sarah non ce ne accorgiamo neanche: il people spotting ci succhia le energie. Un sorso di birra acida che manco una Gueuze belga, qualche saluto di comodo e poi Pete, anzi Peter.
C’era anche lui stasera, è vero. Lo notiamo torreggiare nel suo amish cappello, chitarra e voce. Come in un pub di Leicester. Non suona, strimpella, ma canta, e il singolo “Last of the English Roses” ci strappa un’emozione. Gli concediamo un paio di pezzi, poi ci dileguiamo verso nord. Seguiamo il suo insegnamento di vita: ciò che importa è il contorno. Del resto la musica è del tutto marginale.
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3 Comments:
qui emi music...quindi non hai visto tutto deduco? vale
aaaah yeah cara Vale... in a fegiz style! che ha combinato?
Il prossimo step di demenza è la moda dello sciancato-style: tutti claudicanti.
Disgusto, pessimismo e un puah a chi si inventa per quello che non è (a maggior ragione quando si prende la miopia per trend virtuoso).
Dr. Gonzo
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